Questo post esula un pò dai miei soliti, ma sono pensieri sparsi che mi attraversano a volte la mente, in forma di memoria, o in forma di concetto.
Sono classe 1971, sono stata adolescente negli anni '80, periodo tosto per crescere, soprattutto in una città complicata come Genova. In quegli anni il concetti di bullismo era ben lontano dall'essere pensato, ma i ragazzini subivano comunque aggressioni psicologiche e fisiche dal 'branco', come lo chiamano oggi.
Io ero una di quei ragazzini. Ero troppo alta, troppo magra, troppo pallida, troppo brutta, troppo strana. Parlavo poco, me ne stavo per i fatti miei, e per migliorare la situazione i miei mi mettevano il grembiule nero, (ebbene si, portavamo il grembiule), e il grembiule nero era dei maschi, le femmine lo portavano bianco. Insomma Mercoledì degli Addams mi faceva un baffo. Ma la mia infanzia e adolescenza non è stata così divertente come quella della peste cinematografica.
Come me la sono cavata? Li ho picchiati. Ebbene si, malgrado fossi magra, ero comunque forte, e alta. Mi è bastato picchiarne uno, una volta. E neanche molto forte, uno spintone e un calcio.
Certo, sicuramente avranno continuato a prendermi in giro e affibbiarmi nomignoli, ma almeno lo facevano senza che io potessi sentire, alle mie spalle. Ho così finito e le medie e finalmente sono passata al liceo, dove le cose piano piano sono migliorate.
Ma non pensate che stia scrivendo questo per consigliare corsi di thai box per ragazzini maltrattati. Il mio discorso vuole essere diverso. Credo che sia giusto ragionare sulle motivazioni che spingono il 'branco' a attaccare i più deboli, gli strani, anche demonizzare questo atteggiamento, ma mi sembra che poca attenzione si ponga sul perchè proprio quel ragazzino, o ragazzina venga preso di mira.
Mi chiedo se i miei genitori abbiano mai riflettuto sul fatto che io fossi così stramba. Forse bisognerebbe chiedersi se la capacità o meno di integrarsi, di essere accettati dagli altri ragazzini sia un corredo che la famiglia sia in qualche modo preposta a dare. E se non ne è in grado, gli insegnanti dovrebbero farlo al posto loro. Quello che sto dicendo che forse l'attenzione andrebbe rivolta alla vittima, o meglio alle motivazioni del perchè è diventata vittima designata.
Imparare a rapportarsi in modo equilibrato con i proprio coetanei non è una cosa che si impara da soli, c'è chi è piu predisposto, ma chi non lo è deve essere aiutato. Se, per esempio, un ragazzino è vittima di bullismo perchè è sovrappeso, certo questo non discolpa i ragazzi che lo tormentano, ma forse intendo dire che un ragazzino dovrebbe fare del movimento e mangiare il giusto, forse se non fosse così sovrappeso non sarebbe così timido e non a suo agio e forse avrebbe dei rapporti più facili con i suoi compagni. Questo è solo un esempio. Nel mio caso il mio aspetto fisico non poteva essere cambiato, se sei bruttina non c'e molto da fare, ma certo che se almeno avessi avuto il grembiule bianco e mi avessero pettinato e vestito un po' meglio, dandomi un'aria meno freak, magari invogliandomi a essere meno chiusa, spingendomi magari a fare qualche sport che mi spingesse a socializzare, forse non sarebbe stato così difficile per me il rapporto con i miei compagni, e il loro con me.
Essere l'anello debole del gruppo non è una condanna a vita. Si impara a integrarsi, e se questo deve passare attraverso la cura dell'aspetto e del linguaggio, degli atteggiamenti del ragazzino, ebbene che lo sia. Non abbandoniamo i ragazzi alla loro incapacità di rapportarsi con il mondo esterno, condannandoli a essere emarginati.
Naturalmente questa è solo la mia opinione. E voi che ne pensate?
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